Un réel pour le XXI sciècle
ASSOCIAZIONE MONDIALE DI PSICANALISI
IX Congresso dell'AMP • 14-18 aprile 2014 • Paris • Palais des Congrès • www.wapol.org

TESTI DI ORIENTAMENTO
Anfibologie del reale
di Leonardo Gorostiza

Leonardo GorostizaCos'è il reale? Sebbene la questione potrebbe sembrare il necessario punto di partenza per l'indagine che ci orienta al nostro prossimo Congresso della AMP, si tratta in realtà della questione da non porre. In effetti, è da molto tempo che Jacques-Alain Miller ci ha avvertiti circa la difficoltà di affrontare, da tale prospettiva, l'interrogazione riguardante il reale. [1]

Nel suo Corso, egli ci indicava che "è la questione da non porre, poiché la forma stessa in cui si presenta non conviene all'elaborazione del reale tale e come questo s'impone – almeno secondo Lacan- alla esperienza analitica, e ciò perché "la procedura stessa della definizione..." è quella che "...si accorda a chi cerca una verità, mentre il reale, per l'appunto, non si accorda con la verità."[2]

Beninteso, non accordandosi alla verità, il reale non può accordarsi nemmeno ad una questione che, sotto forma di definizione, cercasse il vero sul reale. Al contrario, è dalle vie che affrontano le risposte del reale [3], che conviene avanzare nella sua elaborazione.

In un certo modo questo è stato il percorso di Lacan, che ha fornito, lungo il suo insegnamento, diverse caratterizzazioni del reale, sottolineandone l'instabilità dei concetti con cui tentava di localizzare– mirando alla loro scientificità- il reale proprio della esperienza analitica.

Più di recente, Jacques-Alain Miller ha saputo cogliere e mettere in rilievo queste variazioni, coniando una formula illuminata: "le anfibologie del reale".[4]

E' così che, nel mese di febbraio 2011 ci indicava che, per fissare le idée attorno al termine reale, "… dobbremmo inscrivere un capitolo dal titolo le anfibologie del reale." Giacché "…il reale non vuol dire sempre la medessima cosa, sia nell'uso che noi ne facciamo, sia in quello che ne fa Lacan. C'è sempre lì un equivoco che occorre cogliere."[5]

Sé ci proponessimo di stabilire, col rischio di una certa semplificazione, le variazioni adoperate da Lacan attorno il temine reale lungo il suo insegnamento, potremmo situare i seguenti momenti:

Prima variazione: quando il reale è ubicato al di fuori dall'esperienza analitica. Si tratta, in questo caso, di un reale previo ed esteriore agli effetti del significante, vale a dire, al significato e alle sue relazioni. Tuttavia, questo reale previo ed esteriore non è da confondere per Lacan col reale psicoanalitico, il quale era - all'inizio del suo insegnamento - il significato stesso.[6] Da questa prospettiva, si può affermare che "… Lacan ha iniziato (...) da una definizione del reale secondo la quale il reale è il senso."[7]

Seconda variazione: quando Lacan sposta il reale dal significato o dal senso, situandolo in relazione al significante. E' questo il momento – come indicato da Miller- in cui "si celebrano, in modo evidente, le nozze tra la psicoanalisi e la scienza. Come se l'inconscio mettesse in evidenzia che c'è un sapere nel reale, che il reale si presenta sotto la forma di un sapere." [8]

Si tratta, in questo caso, di un reale che, nella misura che è identificato ad un sapere, risulta regolato da una legge.

Terza variazione: abbozzata già nel Seminario 7, giunge ad una formulazione ben precisa nel Seminario 11, quando il reale viene vincolato al trauma, alla funzione della tyche in quanto incontro mancato con il reale.[9] Da lì in poi, una volta che il reale si è separato dal significante e le sue leggi, Lacan aprirà la strada verso una prospettiva che alla fine del suo insegnamento lo porterà – tramite numerose modulazioni- a sostenere che "il reale è senza legge". [10]

Questa formula, sorta dal distinguere il reale dal significante, quindi dal sapere – vale a dire dal sembiante- si accompagnerà in Lacan da una costante interrogazione sulla pratica psicoanalitica. In effetti: che pratica sarebbe quella della psicoanalisi -che come sappiamo non opera che per mezzo della parola- se il reale venisse concepito come ciò che sfugge alla parola, come ciò che resiste ai suoi poteri ribellandosene e, sopratutto, escludendone il senso?

E' su questo punto che appoggia l'indicazione di Jacques-Alain Miller quando, nella Conferenza di Presentazione del tema del nostro prossimo Congresso, segnala:

"Occorre ricordare che alla fine del suo insegnamento Lacan non esitava a domandarsi se la psicoanalisi – quando non aveva più ormai l'ambizione di renderla scientifica- non sarebbe una specie di magia. Lo dice una sola volta ma è un'eco da considerare." [11]

Eco estremo che tuttavia non va trascurato, dal momento che lo stesso Lacan s'interroga riguardo i rischi che la psicoanalisi possa – da questa prospettiva- scivolare verso una impostura. Lo cito:

"Contrariamente a ciò che si dice, non c'è verità sul reale, dal momento che il reale si delinea escludendo il senso. Sarebbe persino troppo dire che c'è del reale, dato che il dirlo suppone un senso. Il termine reale ha di per sè un senso, io stesso ci ho giocato sopra un tempo evocandone l'eco del termine reus, che in latino vuol dire colpevole – si è più o meno colpevoli del reale. E' proprio per questo che la psicoanalisi è una cosa seria e che -non è assurdo dirlo- può scivolare nella impostura."[12]

Come intendere questo rischo di cui ci avverte Lacan? Nei paragrafi precedenti lui stesso situa le coordinate del problema, quando dice che se la psicoanalisi è una impostura, lo è nella misura in cui tocca il punto esatto circa cos'è il significante, vale a dire quel qualcosa di molto speciale con degli effetti di senso. In questo non è più ingannevole che la poesia, basata sul doppio senso. [13]

Ora diventa chiaro che il trucco sarebbe – se mi si permette dirlo così- quello di fare passare "fischi per fiaschi", in altre parole, fare passare il significante e i suoi effetti di senso per il reale. Non siamo lontani dalle considerazioni che riguardano la magia. Non solo perchè in questa il coniglio che si estrae dal cilindro è stato già prima messo lì – sia questa una anteriorità nascosta o divelata- e conserva, appunto, la sua condizione di coniglio, ma anche perché la magia suppone "il significante rispondendo come tale al significante."[14]

Questo vuol dire che l'operazione del mago o dello sciamano è di un ordine omologo a ciò che sarà la risposta a detta operazione: un ordine molto speciale che ha degli effetti di senso, e questo è l'ordine significante.

Ma il nocciolo del problema è - Come fare perchè ciò che è eterogeneo al significante, scarto dis-ordinato per struttura, cioè il reale, risponda all'azione del significante?

Si capisce la ossesione di Lacan su questo punto, la sua tenacia nel cercare ciò che poi chiamerà significante nuovo, un significante che, come il reale, non abbia senso di nessun tipo.[15]

Così, in una sorta di radicalizzazione di quanto nel 1965 – persino nelle vesti di un ambito legame con la scienza- aveva definito incidenza del significante come causa materiale, vale a dire il significante che agisce separato dalla sua significazione, Lacan avanzerà decisamente nella considerazione degli effetti del significante nella sua unicità.

E' proprio qui che la variazione del titolo del nostro prossimo Congresso, che pone l'accento non più "nel reale" ma in "un reale", acquisisce tutta la sua dimensione.

Messa a distanza l'idea di una psicoanalisi che potesse avere un "tutto" del reale, il titolo, così declinato – Un reale per il XXI° secolo- ne introduce una ulteriore sfumatura: una relazione tra il reale e il tempo. Vale a dire, non solo si obietta la concezione di un tutto del reale ma – nell'introdurre il riferimento a questo secolo- si pone in questione l'ilusione di una supposta immutabilità o eternità del reale.

Ecco quanto si deduce – potremmo dire- da una delle variazioni che scandiscono le anfibologie del reale. Mi riferisco alle considerazioni che nel 1974, ne "La Terza", Lacan afferma con enfasi:

"Il reale, di conseguenza, non ´universale. Il che vuol dire che è tutto solo in senso stretto, in quanto ciascuno dei suoi elementi è identico a sé, ma senza che si possa dire "tutti gli elementi" , ci sono solo insiemi da determinare in ciascun caso. E non occorre aggiungere: questo è tutto. Il mio S1 ha solo il senso di sottolineare questo "qualsiasi cosa" questo significante-lettera che scrivo S1, che non si scrive se non facendolo senza alcun effetto di senso." [16]

Da quanto detto ne consegue che per la psicoanalisi, sulla via aperta da Lacan, si tratta sempre di un reale, singolare, da cogliere ogni volta, il ché spiega che lo si situi in rapporto ad una temporalità che implica un prima e un dopo, ma senza connotare alcuna idea di regolarità (l'eterno ritorno dello stesso, e quindi secondo una legge) e, pertanto, lungi da ogni idea di eternità. Poiché, quando un reale –attraverso una contingenza- cessa di non scriversi, non può che farlo "per forza" e questo " è ciò che si chiama contro- natura". [17]

Ora bene, giunti a questo punto, possiamo chiederci: perché mai dice Lacan che si è più o meno colpevoli del reale? Perché – in un momento del suo insegnamento in cui è già entrato nel suo "al di là dell'Edipo"- fa ricorso al termine "colpa" e, più precisamente ancora, perché mai lo vincola al reale?

A questa domanda, che fa eco alle parole con cui Jacques-Alain Miller conclude la sua "Presentazione al tema...." là dove parla della "zona irremediabile dell'esistenza" la stessa di Edipo a Colono, a cui ci porta la ricerca del reale sprovvisto di senso; ebbene, a questa domanda tenterò di dare una risposta.

Ognuno di noi è sempre "più o meno colpevole del reale" perché a questo reale non possiamo che "male- dirlo", sempre.

In effetti, parafrasando uno degli ultimi racconti di Samuel Beckett[18] possiamo dire che il reale, sempre dell'ordine dell'avvenimento, sarà non solo "mal visto" ma anche "male detto". Mal visto perché ciò che arriva a sorpresa, in quanto imprevisto, si situa al di fuori dalle leggi della vista. Male detto perché i detti del discorso stabilito non sono neanche quelli in grado di nominarlo. Neppure i nuovi detti - inventati di volta in volta, seppure riuscendo a dirlo al meglio- smettono per ciò di mancare il bersaglio: potremmo dire che "falliscono meglio" nel tentativo di nominare l'innominabile del reale.

Per questo, in questa zona del reale spogliato dal senso, resta solo la chance di rispondere tentando, ogni volta, di "male dire bene". Forse in questo modo si potrà essere "meno colpevoli del reale" mentre, se si "male dice male" – alimentando il senso- si sarà "più colpevoli del reale".

In una occasione, Jacques- Alain Miller ha caratterizzato gli psicoanalisti come degli sfortunati, sempre in lotta con un reale la cui potenza li eccede e trascina. [19]

Ecco una lezione di umiltà dinanzi a quel reale che non dipende affatto dagli psicoanalisti ma che siamo tenuti ad affrontare. [20]

Nel come fare fronte a questo reale -che nel XXI° secolo si insinua già nella sua molteplicità- si concentra probabilmente gran parte del nostro lavoro verso il prossimo Congresso.

Diversi assi sono già stati posti con precisione da Guy Briole, Direttore del IXº Congresso. La sua proposta, che mira a orientare le nostre questioni, è sul sito della AMP. Una di queste interroga la concezione dell'inconscio reale riguardo quella d'inconscio trasferenziale, ed ha già sucitato un interessante dibattito all'interno di una delle nostre Scuole della AMP. Mi riferisco al X° Congresso dei membri della Escola Brasileira de Psicanálise di cui il titolo "Ricerche sul reale" ha dato luogo ad una animata conversazione lo scorso 27 aprile. Il dibattito svolto potrebbe riassumersi come segue: - Sarebbe possibile forse giungere a localizzare il troumatisme originale de lalangue, con l'effetto di godimento che ne comporta senza però passare dall'installazione dell'inconscio trasferenziale, vale a dire, quello che, nel contempo, è una difesa dinnanzi il reale senza legge, cioè il fuori senso?

In altre parole: - La promozione dell'inconscio reale invalida forse la dimensione operativa dell'inconscio trasferenziale?

Siamo già al lavoro verso il IX° Congresso della AMP a Parigi, si inizia il cammino, il dibattito è aperto.

Tenteremo, durante il tempo che ci attende ancora e fino al Congresso stesso, di "male dire bene" il reale. In questo modo potremo forse essere conseguenziali con quella che è stata la costante, permanente scomessa di Lacan: esplorare incessantemente la giuntura impossibile tra il vero e il reale.

Buenos Aires, giugno 23 del 2013.


Traduzione di Laura Cecilia Rizzo

  1. Miller, J-A., La esperienza del reale nella cura psicoanalítica, Corso tenuto al Dipartamento di Psicoanalisi dell'Università di Parigi VIII nell'anno accademico 1998-1999. C'è versione in italiano in La Psicoanalisi, n. 25 e successivi. Casa Ed. Astrolabio, Roma, 1999.
  2. Lezione del 18 novembre 1998. In Op.cit.. n.25 p. 197
  3. Ibidem
  4. Miller, J-A., Cours L'Orientation lacanienne, Année 2011, Cours 2 février 2011 (inedito).
  5. Op.cit. (Traduzione dell'autore).
  6. Op.cit. Nota 1, n. 25 p. 202
  7. Ibidem p. 203.
  8. Ibidem p. 204.
  9. J. Lacan, Il Seminario XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Biblioteca Einaudi. Torino, 2003, p. 53.
  10. J. Lacan, Il seminario Libro XXIII Il sinthomo (1975-1976). Astrolabio, 2006. pp. 134-135
  11. Miller, J-A., Il reale nel XXI secolo. Presentazione del tema del IX Congresso dell'AMP in La Psicoanalisi n. 52, 2012, p. 17
  12. J. Lacan, L'insu que sait de l'une-bévue s'aile à mourre (1976-1977), lezione del 15 marzo 1977 Vers un signifiant nouveau in Ornicar?, n. 17/18, París, Lyse, 1979, p. 9. La traduzione è propria. (N.d.T.)
  13. Ibidem p. 8.
  14. J. Lacan, "La scienza e la verità", Scritti, 2 voll. Einaudi, Torino, 1974 p. 827.
  15. Op.cit.. nella Nota 11, Lezione del 17 maggio 1977.
  16. Lacan, J., La Terza in La Psicoanalisi n. 12, 1992, p. 92. I sottolineati sono dell'autore (N.d.T.).
  17. Ibidem Nota 11, Lezione del 19 aprile 1977.
  18. Beckett, S., Mal visto mal detto, Einaudi, 1994.
  19. Miller J-A., Pourquoi l'Ecole respire mal (AMP – La conversation de Paris) Archives de Psychanalyse, 10/1977, p.3
  20. Ibidem Nota 15, p. 19.