di Bernard Seynhaeve
Non indietreggiare davanti al reale
La vita è fatta di buoni e di cattivi incontri. Certamente c'è il caso, ma c'è la contingenza. Perchè con quella persona ci sarà incontro e non con la talaltra? La contingenza rileva della decisione dell'essere, della sua scelta, insondabile. Implica il non indietreggiare davanti al reale.
Da quando esercito la funzione di direttore del Courtil, non ho mai accettato che si filmino i bambini, neanche che un giornalista s'introduca nell'istitizione. Con Alexandrre Stevens non abbiamo mai voluto esporre i bambini. Era la sua posizione, è stata anche la mia. Non si viene al Courtil per guardare.
Tre anni fa, ho incontrato Mariana Otero, felice contingenza. É Anna Paschetta che me l'ha presentata[1]. Dopo aver girato Histoire d'un secret e Entre nos mains, Mariana Otero voleva fare un film sulla follia. Era alla ricerca di un luogo di accoglienza di persone sofferenti di patologie mentali . Era stata ricevuta in differenti istituzioni, ma non trovava ciò che cercava. Aveva incontrato degli adulti che si orientavano molto con i loro propri fantasmi. L'amore del prossimo.
Anne Paschetta, che conosceva il Courtil, proporrà a Mariana Otero di incontrarmi. La contingenza. Ero reticente, contrario anche, per principio, a che s'introducesse una videocamera nella nostra istituzione. Non conoscevo Mariana. Mariana Otero non era venuta per convincermi. Non era una sua questione. È ciò che da subito mi ha sconcertato, ha toccato le mie riserve. Mariana non capiva. Veniva per tentare di comprendere. Veniva con la sua questione. Voleva comprendere ciò che fa l'umano, la sua faglia. Veniva con un sapere bucato. Veniva con una supposizione di sapere. Certamente, aveva un progetto, ma non veniva per guardare.
Di fronte a quest'insistenza, ero posto io stesso di fronte all'ultimatum di tentare di spiegarmi. Mariana è tornata e ritornata a più riprese al Courtil. E per lunge ore, siamo entrati in contatto parlando. Lei ha realizzato che, per noi, i bambini che accoglievamo erano, ciascuno, caso per caso, degli enigmi. Comprendeva che benchè noi sapessimo delle cose, molte cose forse, ciascuno di loro era per noi una questione. Che si parta da una pagina bianca, era nuovo per lei. Fare tabula rasa di ciò che sappiamo, creare uno spazio nel quale ciascuno, bambino accolto e operatore, è stato invitato ad inventare, tutto ciò era inaudito per Mariana.
Questi incontri con lei s'inscrivevano così in un discorso strano, inedito, un discorso attorno a un buco nel sapere, un discorso, sul reale. Non indietreggiare davanti al reale era una delle condizioni affinchè sorgesse del nuovo. Tale era il discorso che lei incontrava.
La scrittura di una poesia
Quanto a noi, al Courtil, bisognava che lo si agguantasse alla vita, questo XXI secolo, quello in cui i media e l'oggetto sguardo s'imponevano. La psicoanalisi è stata malmenata, sbeffeggiata, maltrattata. Era tempo che si rendesse conto nella città di ciò che noi facevamo. Abbiamo fatto questa scommessa. Ho affidato le chiavi dell'istituzione a Mariana. Poteva circolare come sentiva nell'istituziome. Le abbiamo dato fiducia.
Mariana Otero si è integrata nell'istituzione come l'hanno fatto tutti gli operatori del Courtil. Ha impiegato un anno intero per fare ciò che si chiama degli avvistamenti. Abbiamo continuato a discutere per lungo tempo. Poi si è messa a filmare. Sola, senza tecnico del suono. C'era bisogno di ciò che accadeva tra i bambini, gli operatori e lei. Ha arrangiato una videocamera che si sarebbe portata sulla pancia in modo che il suo sguardo non fosse nascosto. Ha filmato 180 ore di rush e non sapeva mai se ne avrebbe potuto fare qualcosa. Niente di deciso a priori. Ne ha ricavato un film di un'ora e cinquanta[2]. Partita da una pagina bianca, senza saperlo, ha scritto una poesia.
Toccare il reale con mano
Mi sono domandato perchè il suo film mi avesse toccato, e perchè avesse altrettanto toccato tutti gli spettatori. La mia risposta è che Mariana Otero era giunta a contornare qualcosa del reale dei bambini con i quali aveva vissuto per numerosi mesi. Ci aveva messo il dito, l'aveva tradotto in quest'opera. Ma non solamente. Aveva compiuto questo tour de force consistente nel mettere in valore ciò che fa l'intimo, la faglia, ciò che costituisce il più umano nell'uomo.
Ma un'altra cosa è notevole. Ciò facendo, ella metteva in atto ciò che ognuno, bambino e operatore, è invitato a realizzare nello spazio che apre il discorso della psicoanalisi applicata alla terapeutica, cioè afferrare dei pezzi di reale con cui ciascuno ha a che fare. Riguardo a questo, Mariana Otero, come ne testimonia il suo film, si è fatta operatrice allo stesso titolo di tutti quelli che lavorano al Courtil. I bambini le hanno fatto questo posto. Loro l'hanno investita, lei, se ne sono serviti, le avanzate del suo film lo testimoniano.
Una volta realizzato il suo film, Mariana Otero m'ha confidato che aveva afferrato qualcosa di ciò che poteva essere l'inconscio di Lacan[3], l'inconscio reale. Ciò che mostra il suo film, è che i soggetti con i quali lei aveva vissuto tutto quel tempo riuscivano a inventare, a creare una soluzione che permetteva loro di tenere nel mondo facendo uso del loro sintomo, appoggiandosi sul loro sintomo. Ma è proprio esattamente quello che realizza Mariana con il suo film. È ciò che ciascun operatore è invitato a fare in questo spazio di creazione che è il Courtil. Ecco quello che è l'inconscio di Lacan. Una felice contingenza.
vedi l'intervista video di Mariana Otero realizzata da Bernard Seynhaeve e Marlène Belilos.
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Traduzione di Francesca Carmignani