Material -(non) - mente e la funzione della parvenza
Che tipo di sapere e che tipo di fare sono implicati nella formula di Lacan: saperci fare? Non si tratta del saperci fare dell'artigiano, della bottega, un saperci fare trasmissibile dal maestro all'alunno come padronanza della materia sulla quale si opera. Non si tratta neanche del fare greco, del prattein, che nella dialettica teoria-pratica presuppone un agire che imprime, forzandola, una forma ideale in una realtà materiale. Non si tratta neanche di una modellizzazione caratteristica del funzionamento della scienza: "La metafora che si utilizza per ciò che si chiama accesso al reale è il modello. Lord Kelvin, per esempio, considerava che la scienza fosse ciò in cui funzionava un modello, permettendo di prevedere quali sarebbero stati i risultati del funzionamento del reale"[1] .
Pur distinguendosi da queste tre modalità di combinare il sapere e il fare, il saperci fare rimanda, come queste, a una questione fondamentale: come accedere al reale. Questa è la preoccupazione di Lacan quando sostiene che "la fine di un'analisi coincide con il saperci fare con il sintomo"[2]. Questa preoccupazione riguarda semplicemente la truffa della parvenza: come si può accedere al reale in un'analisi quando il reale e la parvenza sono disgiunti in modo radicale, e "tutto quello che non è fondato sulla materia è una truffa material –(non)- mente"? [3].
Come altre tendenze dell'epoca, e come il sintomo stesso, il saperci fare è un modo di gettare un ponte tra il senso e il reale, per ottenere, attraverso la parvenza, almeno qualche lembo di questo reale. "L'approccio del reale è stretto. E' frequentandolo che la psicoanalisi si profila".[4] Nell'ultimo insegnamento di Lacan si è lontani dall'aspirazione scientifica della Nota agli italiani dove si operava su un sapere nel reale per determinare questo reale in modo nuovo, come fa la scienza.[5]
Ciò che resta non riguarda un sapere manipolabile nel reale, ma il sinthomo che, invece, conserva un senso nel reale. Saperci fare con il sinthomo, non è molto, dice Lacan, ma almeno è praticabile alla fine di un'analisi. Poiché c'entra più con il fare che con il pensare, nota Xavier Esqué, il funzionamento del sintomo alla fine di un'analisi, quel che è praticabile, è un modo per uscire dalla debolezza del pensiero, è una forma di passe, un modo di fare con il vuoto.[6]
La debolezza del sapere
Nel Seminario XVI Lacan mette in serie saperci fare, saper-fare e saper esserci : "La scoperta freudiana avanza che ci si può essere senza sapere che ci si è, e che credendosi più sicuri se ci si guarda da questo sapere, credendo di essere da un'altra parte, ci si è in pieno. Questo dice la psicoanalisi, ci si è senza saperlo.[7]"
Il sapere inconscio può controbilanciare il reale? - si domanda poi. Di fatto, "il sapere inconscio, benché strappato, nell'analisi, all'ignoranza, è tuttavia debole perché -come dice Miller- è innanzi tutto un non saperci fare con la mancanza del sesso: nota a sua volta P. Monribot.[8] Sì, il sapere inconscio è debole rispetto al reale. Questa debolezza è una via senza uscita che richiede un passaggio forzato dell'inconscio al sintomo come unica via effettivamente praticabile. Si può così abbozzare un saper esserci nell'inconscio, in altre parole: essere zimbelli dell'inconscio, saperci fare con il sintomo. Se l'orientamento dell'esperienza analitica è "ridurre ogni invenzione al sintomo",[9] non c'è altra uscita, alla fine di un'analisi, che il saperci fare con ciò che resta.
Cavarsela con l'incurabile
La recente traduzione spagnola di sapere e fare con saber arreglárselas con, sapersela cavare con,[10] evidenzia due versanti. Il primo versante indica l'uso del sintomo: l'analizzante può utilizzare adesso quel che è sempre stato una difficoltà e un ostacolo, e che alla fine può diventare un possibile strumento di una pratica. Utilizzare il sintomo, anziché lasciarlo essere quel è sempre stato: Lo strumento del suo pathos. Il secondo versante riguarda l'incurabile, giacché il sintomo, anche ridotto a un segno, continua a scriversi. Bisogna dunque cavarsela, cioè saperci fare con il sintomo si è, hic et nunc. È anche un modo di prenderne le distanze. "Come si pratica?" si chiede Lacan,[11] nonostante abbia dato due indicazioni in questo senso: si fa come si sa fare con il partner sessuale, e anche come si sa fare con la propria immagine. Non occorrono padronanza né particolare genialità per questo si tratta semplicemente di cavarsela.
Questo saperci fare si può concepire come il rovescio del rapporto che il nevrotico ha con la propria castrazione, togliendovi il senso di sofferenza. Al contrario questo saperci fare potrebbe inspirarsi piuttosto alle parole che Lacan riprende dall'Ecclesiaste riguardo "il vecchio re che non vedeva nessuna contraddizione tra essere il re della saggezza e possedere un harem: tutto è vanità, [...] godi della donna che ami. In altre parole, fai un anello della cavità, del vuoto che è al centro del tuo essere. Non c'è prossimo se non questa cavità stessa che è in te, il vuoto di te stesso.[12]"
Poiché questo vuoto è il luogo in cui il sintomo non ha smesso di inscrivere il proprio pathos e dove il sinthomo avviene come nodo, bisognerà sempre far qualcosa per cavarsela con l'incurabile. Meglio saperlo...
Traduzione di Mary Nicotra