La modificazione portata al titolo del prossimo Congresso introduce una sottigliezza che non è passata inosservata. Le sue coordinate hanno provocato l'effetto di un golpe, di un taglio, di una audacia che ha messo in risalto due direzioni sulle quali vorrei soffermarmi:
Questo Congresso, il terzo di una serie che ha aperto le sue porte ai non-membri dell'AMP, si iscrive in un divenire che include la creazione di altre istanze che benché non appartengano né all'AMP né alla Scuola Una, hanno con queste un'articolazione che si può considerare stretta, ma la cui forma domanda ancora un'elaborazione e un'invenzione.
Il XXI° secolo come nozione, vede i suoi effetti moltiplicati grazie alla preposizione per che lo precede:
Un reale non irreale [1]
Seguirò la via che i nostri colleghi della NEL hanno scelto per il loro bollettino preparatorio, perché essa mi permette di giocare con queste questioni. Essi hanno scelto come nome per questo bollettino, UnReale, tutto attaccato, distinguendo le maiuscole dalle minuscole. "Noi diciamo UnReale per avvicinarci a un significante solido che iscrive un godimento opaco al senso."[2] Come non evocare - per opporlo- il sentimento irreale dell'epoca il cui il paradigma culla l'industria del divertimento senza averne il monopolio esclusivo?
Unreale è il nome di un videogioco di spari in prima persona, apparso alla fine del secolo scorso, che significò un intrepido avanzamento dovuto alla qualità dell'intelligenza artificiale dei nemici e alla parte grafica di cui sono molto fieri. Un paio di settimane fa abbiamo assistito al dibattito pubblico e a molte voci di allarme - specialmente sull'accesso dei bambini e degli adolescenti a determinati videogiochi ed ai loro effetti nocivi per esempio sulla loro costruzione della realtà, - a proposito del lancio del Grand Theft Auto V (GTA 5), gioco di azione-avventura di un mondo aperto la cui qualità fu elogiata dalla critica grazie alla sensazione realistica di un mondo vivente. Tuttavia, qui non si tratta unicamente di un gioco di spari, ma anche: di droghe, di torture, di necrofilia, di prostituzione, di narcotraffico, di elettroshock e di una rinnovata amoralità possibile come opzione di gioco. Il tutto accompagna il ritorno di questo divertimento interattivo accattivante dove i giocatori sono dei criminali in azione, senza scelta, ma che godono di una libertà paradossale. "Niente è più umano del crimine"[3], ci ricorda brillantemente J.-A. Miller mettendo l'accento sul limite degli umanesimi di fronte all'inumano e sul desiderio dell'analista. Le creature del videogioco sembrano saperlo e i pubblicitari trasformano questo sapere in strategie di marketing. Se la psicoanalisi sopravvive è, molto probabilmente, perché gli analizzanti del XXI° secolo a venire, sono, oggi stesso, dei giocatori di questi giochi.
Nella sua opera Lacan ha analizzato a più riprese la questione del gioco d'azzardo, della decisione, della scelta e della libertà. Ha avuto ottime ragioni per farlo perché questo permette di avvicinarci a ciò che si ripete, che ritorna, che insiste, che resiste, che cambia e che non può cambiare, per chiarire la differenza tra la resistenza e la difesa interrogata a partire dall'indicazione di J.-A. Miller: "…[…] per entrare nel XXI° secolo, la nostra clinica dovrà centrarsi sullo smontaggio della difesa, mettere in disordine la difesa contro il reale. " [4] La relazione causa-effetto non ha valore per il reale lacaniano, se non nella sua rottura. I nostri mondi aperti si adattano a tutto questo e non soltanto i videogames.
Allora, come offrire qualche cosa che, per definizione, è contingente? Quale margine di libertà, di intervento, permette un programma di videogame, di pianificazione, di valutazione o di godimento?
Cambiamo di posto? [5]
"Ma la memoria che cos'è?"[6] domanda J.-A. Miller riprendendo questa questione dal Seminario XXIII. La memoria implica un sapere che è già là, è un'istanza del sapere che si situa nel luogo dell'Altro. L'avvenimento Freud ha rinnovato questa istanza del sapere a partire dall'inconscio, ma questa prospettiva non implica necessariamente il reale; il vettore va dall'inconscio al reale.
Lacan si interroga parecchie volte sulla memoria perché pensava allora alla sua relazione all'Altro ed alla lingua comune, ma anche all'idea di un ritorno indietro e di causa. J.-A. Miller lo segue, precisando le sue domande: " Come si parla senza memoria? ", risponde - seguendo Lacan- che parlare non ha niente da vedere con la memoria. Quando si parla, dice Miller, si crea la lingua. " Si crea la lingua per piccole spinte, è nello stesso ordine che: si inventa con forzature."[7]
Le esperienze sulla memoria non sono ingenue. L'obiettivo di ricordarsi di tutto, di archiviarlo, di custodirlo, o l'intervento farmaceutico sulla finestra della fissazione dei ricordi - la pillola dell'oblio- è un modo di controllare la loro riproduzione e di annullare ogni possibilità di distrazione. Entrambi mirano ad evitare il trauma espellendolo dai corpi colpiti.
Un nome proprio che esiste
Il colpo è rude
Lacan non si piega malgrado questo - dice J.-A. Miller in questo testo – egli scrive il reale e lo chiama il suo sintomo. Riusciamo a seguirlo talvolta: non piegarsi, non significa trionfare. Piegarsi oggi vuol dire avere una data di scadenza programmata, ecco ciò che gridano i corpi sottomessi all'imperativo di buona salute, di bellezza, di libero arbitro e di divertimento. Non vogliamo essere fuori moda, schedati, buoni per il museo.
Un reale per il XXI° secolo è una re-creazione in nome proprio, della lingua che gli analisti di orientamento lacaniano parlano; tra il nostro made in Germany e ciò che si spera dal dire: piccole spinte. E' l'invenzione di una scrittura con l'aspirazione che possa servire, … se raccogliamo il guanto. Una forzatura al lavoro con tutto il tatto… analitico.
Traduction : Cinzia Crosali