Un réel pour le XXI sciècle
ASSOCIAZIONE MONDIALE DI PSICANALISI
IX Congresso dell'AMP • 14-18 aprile 2014 • Paris • Palais des Congrès • www.wapol.org

TESTI DI ORIENTAMENTO
La clinica e il reale
di Graciela Brodsky

Graciela BrodskyNell'allocuzione pronunciata da Lacan in occasione della creazione della Sezione clinica di Parigi[1] troviamo una definizione del reale che merita un commento. Lacan dettava allora il Seminario L'une- bévue, il cui titolo è un gioco di parole omofonico al termine tedesco Unbewusst. Questo ci indica che quando Lacan fa sua la Sezione clinica, egli si trova in piena messa in questione dell'inconscio freudiano. Due testi importanti accompagnano questo periodo: "Televisione" e "Prefazione all'edizione inglese del Seminario XI", quest'ultimo in chiusura degli Altri scritti.

Nello scambio che segue alle parole di apertura, rispondendo a una domanda in modo colloquiale, Lacan si riferisce alla clinica psicoanalitica come "il reale in quanto è l'impossibile da sopportare". E' una frase che nonostante sia stata a lungo commentata, richiede alcune precisazioni. In primo luogo rettifica qualcosa che lo stesso Lacan formula alcuni anni prima: il reale è l'impossibile. Dire che il reale è l'impossibile è ben diverso da dire che il reale è l'impossibile da sopportare.

Il reale come impossibile riguarda il reale sorto da un impasse nella formalizzazione che non cessa di non scriversi e che, mentre emerge come paradosso, come prodotto e scoria del simbolico -dal quale dipende-, non cessa di sfuggire alla machina significante.

L'impossibile da sopportare è un altra cosa. Il reale come impossibile da sopportare si separa dalla scrittura logica e matematica. "Sopportare" fa sorgere, nell'impossibile formalizzazione, la dimensione del carico, del peso, persino della sofferenza. Insomma, per poter sopportare occorre un corpo. Per chi sarebbe dunque impossibile da sopportare il reale? Per cominciare, per chi ci si rivolge, quello che impropriamente chiamiamo paziente, visto che per lui l'impossibile da sopportare si presenta come urgenza, come eccesso del corpo o del pensiero.

J.-A. Miller commenta il riferimento in un vecchio articolo intitolato "Lacan clinico", la cui versione in spagnolo si trova in Matemas II. Si tratta di una conferenza dove sostiene che il sintomo prende forma clinica soltanto quando è impossibile da sopportare, finché non diventa insopportabile uno ci si arrangia[2]. Non significa che non si abbiano dei sintomi, ma lo statuto del sintomo non è quello clinico.

Trovo questa indicazione ricca di conseguenze, giacché distingue lo statuto clinico e non clinico del sintomo. Lacan dice di se stesso per esempio, nel seminario L'une-bévue: "sono un isterico perfetto, vale a dire senza sintomi"[3]e nel Seminario 5 punta nella stessa direzione: ""Vi ho ricordato come vive Dora finché si scompensa la sua posizione isterica. Lei è molto a suo agio, tranne che per alcuni piccoli sintomi, che sono quelli che la costituiscono come isterica […]"[4]. Se si vuole fare un passo ancora nella distinzione tra il sintomo clinico e il sintomo non clinico, si potrebbe congetturare che ciò anticipi qualcosa che riguarda il sinthomo come modo di cavarsela, di arrangiarsi con il reale, di "rifarsi" al reale come l'artigiano si rifà al materiale con cui lavora.

Questo sinthomo è qualcosa che si troverebbe alla fine dell'analisi, o forse si tratta di qualcosa che funziona da capo, anche sé all'insaputa del soggetto? Direi che c'è un arrangiamento che il soggetto deve fare con il troumatisme di lalingua (che lo trova sempre impreparato e senza risorse) e che non aspetta l'analisi per prodursi. Usando l'indicazione di Miller, diremo che lo statuto del sinthomo non è clinico, lo diventa (sintomo clinico) quando viene meno l'arrangiamento e ricompaiono, impossibili da sopportare, i segnali del reale.

Anche per l'analista la clinica è il reale in quanto impossibile da sopportare. La clinica come impossibile da sopportare va a braccetto con la clinica come tentativo di ordinare il reale, di cercarle una legge, di simboleggiarlo. Ogni classificazione consiste in questo: un tentativo di regolare il reale, di incorniciare l'impossibile da sopportare, l'impossibile della pratica della psicoanalisi. E se classifichiamo sintomi, tessiamo nodi, disegniamo schemi, scriviamo formule, rappresentiamo grafi, è perché facciamo quotidianamente esperienza – alle volte insopportabile- del fatto che non ci sono classi nel reale, solo pezzi staccati, "sparsi scompagnati" [5]come ebbe a dire J. Lacan.

Chi conosce Ernst Lanzer? Nacque nel 1878, e morì tragicamente, come molti altri, durante la Grande Guerra. Sembra che il suo vero nome fosse Paul Lorenz, o forse il vero nome di Paul Lorenz era Ernst Panzer, in realtà non è neppure chiaro se siano la stessa persona oppure no. Egli è stato in cura da Freud per nove mesi. Non sappiamo come venisse chiamato in famiglia, se Ernst o Paul, in verità per noi questo non cambia; parliamo di lui dal 1909 e per noi fu, è e sarà "l'Uomo dei topi". Non è nella natura degli uomini godere del supplizio dei topi, ma una volta che è stato trovato questo godimento contingente, né il nome del padre né quello dell'anagrafe si addicono a quest'uomo.

La clinica lacaniana è fatta di queste cose, da lì il problema della presentazione dei casi. Quale potrebbe essere il modo di presentare un caso atto a cogliere anche un po' di ciò che di più singolare ha un soggetto e che, a partire dalla contingenza di un incontro permetta di leggere un programma di godimento la cui ripetizione -apparentemente necessaria- dimostri insomma di essere la soluzione trovata dal soggetto riguardo il reale in quanto impossibile da sopportare?

E' possibile che ciò si possa ottenere con una clinica elucubrata a partire dalle testimonianze. Lacan lo ha sperimentato facendo uso di due dispositivi - apparentemente dissimili: la presentazione di malati e la passe.

In entrambi i casi, il reale, più che essere dimostrato, lo si immagina dalla sua risonanza.


Traduzione Laura Cecilia Rizzo

  1. Lacan J., « Ouverture de la Section clinique » in Questions et réponses, testo stabilito da J.-A. Miller, Ornicar? n° 9, aprile 1977, pp. 7-14.
  2. Miller J.-A., "Lacan clínico", Colloquio di Ottawa [maggio1984] in Matemas II. Buenos Aires, Manantial, Los ensayos, 1994, p. 127.
  3. Lacan J., Le Séminaire, livre XXIV, « L'insu qui sait de l'une-bévue s'aille à mourre », lezione del 14 dicembre 1976, Ornicar ?, Paris, Lyse, n°12/13,dicembre 1977, pp. 7 - 10.
  4. Lacan J., Il Seminario, libro V, Le formazioni dell'inconscio, testo stabilito da J.-A. Miller, a cura di A. Di Ciaccia. Einaudi, Torino 2004. p. 407.
  5. Lacan J., "Prefazione all'edizione inglese del Seminario XI", Altri scritti. Testi riuniti da J.-A. Miller edizione italiana a cura di A. Di Ciaccia. Einaudi, Torino 2013. p. 565